Caffè corretto

Emina Gegic

L’aroma del caffè fa lo stesso effetto sulla mia mente del profumo di vulva sui miei competitor. M’inebria! I miei avversari dicono che ci sia una forte relazione tra il pube e la felicità, proprio come tra la caffeina e l’ansia, ma io snobbo i loro concetti di minchia. Io sono diverso. Da quando mia “madre single” mi lasciò a soli tredici anni per un lenone, io mantengo le distanze dalla gente. E indosso la maschera e i guanti. Eh, si! Sono oramai tre decenni che sto lindo-lindo nella mia bolla prossemica. E se prima mi chiamavano pirla, ora nella pandemia globale mi considerano il veterano. Hah! Gli affettivi, gli stessi che mi chiamavano pirlone, ora sono costretti a fare il mio stesso giochino. Hah. E mi chiedono pure un consiglio per il bene di tutti. Ma che consiglio potrebbe dare uno che non ha mai detto “Mia cara” o scritto a qualcuno “Con affetto”? Forse che le distanze aumentino il desiderio? Quello stesso desiderio che non sai mai quando potrà essere realizzato. E che non ti resta altro che goderti la brama. Ma non ora. Sono le 06:44 e mi tocca inalare la dose giornaliera di quell’irresistibile aroma di caffè. Sono conscio che la gioia durerà quanto il volo di un proiettile, lo stesso che sparai al lenone ferendolo nel pendolo e liberando così quella geisha occidentale di mia madre, ma lo annuso lo stesso.
Ed eccomi qui. Inalo. Trattengo. Godo e aspetto. Tra meno di un minuto sarà qui il mio fedele indesiderato visitatore con la sua voce mutevole. Non l’ho mai visto, ammetto. Potrebbe essere anche una lumaca ermafrodita parlante, potrebbe essere un demone, diamine! Intanto tengo gli occhi chiusi.
Lo sento. È arrivato. Accendo il buio fuori e m’illumino nel profondo. Ascolto il gorgoglio del mio intestino, mi cullo con il tik-tak del mio cuore, respiro come il venticello, soffio e aspetto che se ne vada. Mi fa paura. Mi consolo con il fatto che le sue visite durano poco. Il suo fiato riscalda già la mia guancia. Deduco che non indossa la mascherina e tanto meno tiene le distanze suggerite da governo. “Bisognerebbe arrestarlo”, penso mentre lo sento succhiare il mio caffè come un formichiere sdentato. Di sicuro ha lasciato sulla mia tazzina il suo humus. Io rutto dal nervosismo e lui con le unghie batte sul tavolo al ritmo di The Trooper. Ooh, Iron Maiden! Li ascoltai da adolescente. Vorrei battere anch’io il ritmo di The Trooper ma non ci casco.
“Apri gli occhi?” mi dice e l’ansia sale come il caffè nella caffettiera. “Devi cambiare le tue abitudini, sai. Ti farebbe bene!”, continua, mi sgrida e poi sfoglia il mio giornale preferito. Ignoro le sue opinioni e pure quel rumore di carta. Cerco di mantenere i nervi saldi. Non so mai se quel coso si preoccupa per me oppure vuole farmi preoccupare. Indeciso, ingoio un succoso vaffanculo e Oooooh!
Il silenzio. Il tavolo non batte più. Il giornale non si sfoglia. Il caffè non succhia. Non sento più neanche il fiato sulla guancia. Sbircio. La sedia di fronte a me è vuota. La tazzina è piena. Il coso se ne andato, forse lì dove l’ho mandato io in silenzio.
Tra la caffeina e l’ansia c’è una forte relazione. Gia’. Forse dovrei passare alla vulva? Ma che diamine mi sta succedendo? Comincio ad assomigliare ai miei competitor! Apro anche l’altro occhio. Noto che quel coso ha bucato la mia bolla prossemica e ora da quello spioncino vedo il ragazzo che sta per varcare la soglia. Lo guardo per la prima volta. È bello. E’ magro, alto e ha i vestiti pieni di toppe. Potrebbe avere poco più di tredici anni, penso. La sua pancia è incavata come il cucchiaio che non ha niente da afferrare. E mi viene un accidenti. Mi commuovo. Mi assomiglia. Vorrei abbracciarlo, proprio ora che il decreto suggerisce le distanze. E poi proprio io. Cerco di cacciare via quel desiderio folle ma l’impulso di tenerlo stretto e’ più forte di me. Vorrei proteggerlo da tutti i pericoli in avvenire. Di quelli passati è oramai tardi. “Di cosa hai bisogno?” gli chiedo e aggiungo pure “mio caro”. Forse rischio l’affetto. Lui non mi risponde. E già. I ruoli si sono invertiti. Adesso è lui che tace e tieni gli occhi chiusi ed io che sto diventando un becchino che sta dissotterrando le energie sepolte. Gia’. Sono proprio un pirla. Nell’era di pandemia globale mi è venuta voglia di abbracciare uno sconosciuto. Me stesso. E pensando che il decreto non prevede sanzioni per chi abbraccia il bambino che c’è dentro di noi decido di restare qui, in casa, fermo immobile e di attendere con brama il ritorno di quel tredicenne abbandonato da tutti. Pure da me. Per abbracciarlo. Per abbracciarmi. Cribbio.